ITINERARIO LETTERARIO
CORDOVADO E DINTORNI NELLA LETTERATURA
Visita i luoghi: vedi e ascolta
Cos’è il luogo letterario.
E’ un luogo che ha ispirato un grande scrittore e poeta, in un secolo più o meno lontano e che conserva nei suoi tratti l’aspetto d’allora, per fortunata occasione o precisa cura. Queste aree sono i luoghi dell’ispirazione più famosa, che – tentano accanto alla conservazione di una particolare visione letteraria di salvare armoniosamente ogni elemento di natura, di costruzione artistica, o di memoria storica del luogo. Tale cura si estende alle opere e ai ricordi delle genti locali, meno note ma che hanno lasciato traccia del loro passaggio. Quella dei Parchi letterari, così diventa la storia degli italiani oscuri, accanto a quella di un italiano noto. Anzi, nel caso di Venchieredo, vorrei dire di due italiani, due scrittori e poeti che attorno alla fontana hanno fissato celebri immagini. Uno è Ippolito Nievo, l’altro è Pier Paolo Pasolini.
(Stanislao Nievo)
Ippolito Nievo
nato a Padova il 30 novembre 1831 – morto nel mar Tirreno il 4 marzo 1861. E’ stato uno scrittore e patriota italiano dell’ottocento. Partecipò ai moti risorgimentali per la liberazione d’Italia, seguì Garibaldi nella spedizione dei mille in Sicilia e trovò la morte nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, nel naufragio del vapore Ercole al largo della costa sorrentina. Scrisse il suo capolavoro “Le confessioni di un Italiano”, ambientato in Friuli, tra il 1857 e ‘58, e che uscì postumo nel 1867.
Dall’incipit del libro: Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell’evangelista san Luca; e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo.
Pier Paolo Pasolini
nato a Bologna il 5 marzo 1922 – morto a Roma il 2 novembre 1975. E’ stato poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo. È considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Trascorse parte degli anni giovanili a Casarsa in Friuli, ospite della casa materna. Nel 1949 si trasferì a Roma, dove fu protagonista della storia politica e culturale del dopoguerra italiano. Morì a Roma assassinato il 2.11.1975.
VECCHIO DUOMO
La chiesa dedicata a S. Andrea sorse dopo la terribile peste del 1454; sul portale c’è iscritta la data 20.6.1477, giorno della probabile inaugurazione. In stile romanico, nasce solo con il corpo centrale. Le due navate laterali furono aggiunte successivamente verso il 1600. Gli affreschi della volta della cappella maggiore, raffigurano i dottori della Chiesa e sono stati recentemente attribuiti a Gianfrancesco da Tolmezzo.
Ippolito Nievo: Le confessioni di un Italiano – cap. IV
Lo Spaccafumo era un fornaio di Cordovado, pittoresca terricciuola tra Teglio e Venchieredo, il quale, messosi in guerra aperta colle autorità circonvicine, dal prodigioso correre che faceva quando lo inseguivano, avea conquistato la gloria d’un tal soprannome….. Alle volte, dopo settimane e settimane che non s’era udito parlare di lui, egli compariva tranquillo tranquillissimo alla messa parrocchiale di Cordovado. Tutto il popolo gli faceva festa; ma egli la messa non l’ascoltava che con un orecchio solo e l’altro lo teneva ben attento verso la porta grande, pronto a scappare per la piccola, se si udisse venir di colà il passo greve e misurato della pattuglia. Che questa usasse la furberia di appostarsi alle due porte non era prevedibile, stante la perfetta buona fede di quella milizia. Dopo messa egli crocchiava cogli altri compari sul piazzale, e all’ora di pranzo andava difilato colla sua faccia tosta nella casa dei Provedoni che era l’ultima del paese verso Teglio. Il signor Antonio, uomo di Comune, chiudeva un occhio; e il resto della famiglia si raccoglieva con gran piacere in cucina dintorno a lui a farsi raccontare le sue prodezze, e a ridere delle facezie che infioravano il suo discorso.
(Carlino e Aquilina – cap. XXII) …la dimora di Venezia ci diventava ogni giorno più odiosa e insopportabile , sicché di comune accordo ci trapiantammo in Friuli, nel paesello di Cordovado, in quella vecchia casa Provedoni, piena per noi di tante memorie…
CASTELLO
Il castello medievale, sorto su un insediamento preistorico fortificato, risale agli anni attorno al 1.000 e fu ricostruito dopo le invasioni degli ungari dai vescovi di Concordia. Verso il 1600, sulle rovine del castello, fu edificata l’attuale villa Freschi-Piccolomini. Rimangono ancora visibili la torre nord, la torre sud, parte delle mura di cinta, una casetta del ‘300 ed alcuni palazzi, di particolare pregio: “L’Agricola” e del “Capitano”
Nozze di Riccarda d’Arcano e Francesco Ridolfi – 1571
Mons. Pagnucco – tratto dalle “Memorie Forogiuliesi” di Alice Sachs (1915)
Alla vigilia dell’arrivo degli sposi Riccarda d’Arcano e Francesco Ridolfi, Cordovado rigurgitava di nobili e di popolo. I signori erano venuti a cavallo, le dame in carrozza. I tornei erano ancora di moda . Nei prossimi giorni, la piazza del castello si sarebbe trasformata in un campo di combattimento. Prima ancora dell’ora prevista per l’arrivo del corteo, la schiera dei signori e delle dame si trovava già davanti alla porta del castello; il popolo gremiva la piazza interna ai lati della strada ch’era ricoperta da un tappeto disseminato di fiori. Dinanzi alla porta, tenuto per le briglie da un palafreniere vestito da paggio, un bellissimo cavallo bianco scalpitava ardente. S’ode uno squillo di corno; si profila il grosso corteo che avanza a semigaloppo. Avanti a tutti, sorridenti cavalcano gli sposi, che vengono salutati da un subisso di applausi e di acclamazioni. Ma gli occhi di tutti cercano lei, la nuova castellana. Varcata la porta del castello, passano tra le ali della folla che li acclama, rispondendo a tutti col saluto del sorriso. I festeggiamenti sarebbero durati alcuni giorni, poi, una dopo l’altra, sarebbero ripartite le carrozze, per far rientro ai loro castelli. La casa dei Ridolfi si sarebbe ricomposta nella quiete del suo normale respiro; Riccarda avrebbe iniziato la nuova vita secondo quello ch’era il tenore tradizionale delle castellane. Di buon mattino, assistenza quotidiana alla Messa nella cappella del castello, quindi in cucina a distribuire alla servitù le opere della giornata che lei stessa avrebbe diretto. Il pomeriggio era dedicato al ricamo, nella sue stanze, con le ancelle e alla lettura di carattere sacro o dei poemi cavallereschi. La sera, tutta la famiglia si trovava nel salone della casa, in lieti conversari o ad ascoltare e a scambiarsi le impressioni dei fatti accaduti.
SANTUARIO E PRATI DELLA MADONNA
Il santuario di Cordovado, dedicato alla Madonna, fu costruito a seguito di una apparizione, alla fine del 1500 ed inaugurato il 1.5.1603. A pianta ottogonale, è in stile barocco veneto: il più antico santuario mariano della diocesi. Il soffitto in legno risulta intagliato da artigiani di Motta. Hanno lavorato artisti quali: Antonio Carneo, Baldassar d’Anna, Giuseppe Moretto.
Ippolito Nievo: Le confessioni di un Italiano – cap. XXII
…. Il colonnello Giorgi e il caporal Provedoni, feriti sul ponte da una bomba, erano stati trasportati allo spedale militare, donde per la gravità della ferita non era possibile traslocarli. Accorsi più morto che vivo, li trovai giacere su due lettucci l’uno accanto all’altro, e parlavano dei loro anni giovanili, delle loro guerre d’una volta, delle comuni speranze come due amici in procinto di addormentarsi…. La è curiosa! bisbigliava Alessandro, mi par d’essere nel Brasile!. E a me a Cordovado sul piazzale della Madonna, rispose Bruto. Era il delirio dell’agonia che li prendeva; un dolcissimo delirio quale la natura non ne concede che alle anime elette per render loro facile e soave il passaggio da questa vita.
P.P.Pasolini : “L’usignolo della chiesa cattolica”
dal Cap. V del poemetto “Italia” 1949
Tornerà a Cordovado, a Ramuscello, a Gleris il mattino di una domenica di primavera!
E sulla polvere della strada tra i fossi dove rosa e verdi splendono le anitre al sole,
i giovinetti vestiti con le bluse materne e i capelli pettinati al suono delle campane,
andranno a Messa abbracciati incantando il vento appena vivo tra i salici e le viole.
P. Pasolini – Arba pai cunins (erba per i conigli)
“La meglio Gioventù “ (1954) – “Dov’è la mia patria” (1949)
Canta, nel dialetto di Cordovado, la solitudine e la vita dura di “Gidio Toneguzzo”, il ladro che ruba ai “sotans di Siest la seda da l’arba”
Mi vegni via pai ciamps di Siest
cu ‘l miò sac ta li spalis crudis
tra li fuòjs schej di arzènt e seda.
Dut il mond al è arzènt e seda,
mi sòul i soj di arbis crudis
fi di na femina di Siest.
A son tris-c’ i sotàns di Siest!
s’a mi viòdin robàighi la seda da l’arba,
àlsin li siòs mans crudis!
I vuòlti viàrs l’ombrena di Siest.
PACHER VENCHIEREDO
Pier Paolo Pasolini: “Il sogno di una cosa” Parte I, cap. 2
Oltre alla festa della classe del ’29, c’erano state le sagre in tutti i paesi dei dintorni, a Cintello, Savorgnano, Gleris, e poi quella famosa di S’ Pietro e Paolo a Valvasone, e a Saletto, Morsano, Teglio, Cordovado… A Cordovado era stata bella; dopo aver ballato tutta la notte, e bevuto, verso le due avevano deciso di andarsene a fare il bagno. Giunsero gridando e cantando al Pacher. Il laghetto splendeva liscio liscio sotto le stelle. Essi si spogliarono svelti in mezzo alla boschina e si gettarono nudi nell’acqua. Era appena piovuto e l’erba era bagnata, i rami delle acacie gocciolanti: tutto riluceva sotto la luna. I ragazzi di Rosa, nudi, correvano tra gli alberi per scaldarsi. Il Nini, infilandosi le mutande sotto il fascio di luce della luna, raccontava agli altri della ragazza di Ramuscello che aveva accompagnato a casa, e Eligio non credendogli lo sfotteva… Adesso erano tornate le feste di Pasqua…
Pier Paolo Pasolini: “La rondinella del Pacher”
Quando Erio fu vicino alla rondine, Velino lo vide che tentava di afferrarla, ma ogni volta che la toccava, ritirava come spaventato la mano. “Che fai? – gli gridò – perché non la prendi?”. “Mi becca!” gridò Erio. Velino rise, scese dal pioppo e andò anche lui coi piedi dentro l’acqua. Erio intanto si era deciso ad afferrare la rondine, e ora nuotava pian piano verso la riva; appena vi giunse, Velino gli prese la rondine dalle mani. “Perché l’hai salvata? – gli chiese – era bello vederla annegare”. Velino non gli rispose; riprese la rondine tra le mani e la guardava. “E’ piccola – disse – adesso lasciamo che si asciughi”. Ci volle poco perché si asciugasse; dopo cinque minuti rivolava tra le compagne nel cielo del Pacher, e Erio ormai non la distingueva più dalle altre.
FONTANA DI VENCHIAREDO
Ippolito Nievo: Le confessioni di un Italiano – cap. IV
Tra Cordovado e Venchieredo, a un miglio dei due paesi, v’è una grande e limpida fontana che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. Ma la ninfa della fontana non credette fidarsi unicamente alle virtù dell’acqua per adescare i devoti e si è recinta d’un cosí bell’orizzonte di prati di boschi e di cielo, e d’una ombra cosí ospitale di ontani e di saliceti che è in verità un recesso degno del pennello di Virgilio questo ove le piacque di porre sua stanza. Sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine dolci e muscose, nulla le manca tutto all’intorno. È proprio lo specchio d’una maga, quell’acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente da un fondo di minuta ghiaiuolina s’è alzata a raddoppiar nel suo grembo l’immagine d’una scena cosí pittoresca e pastorale. Son luoghi che fanno pensare agli abitatori dell’Eden prima del peccato; ed anche ci fanno pensare senza ribrezzo al peccato ora che non siamo piú abitatori dell’Eden. Colà dunque intorno a quella fontana, le vaghe fanciulle di Cordovado, di Venchieredo e perfino di Teglio, di Fratta, di Morsano, di Cintello e di Bagnarola, e d’altri villaggi circonvicini, costumano adunarsi da tempo immemorabile le sere festive. E vi stanno a lungo in canti in risa in conversari in merende finché la mamma l’amante e la luna le riconducano a casa. Non ho nemmeno voluto dirvi che colle fanciulle vi concorrono anche i giovinotti, perché già era cosa da immaginarsi. Ma quello che intendo notare si è che, fatti i conti a fin d’anno, io credo ed affermo che alla fontana di Venchieredo si venga piú per far all’amore che per abbeverarsi; e del resto anche, vi si beve piú vino che acqua. Si sa; bisogna in questi casi obbedire piú ai salsicciotti ed al prosciutto delle merende che alla superstizione dell’acqua passante. Io per me ci fui le belle volte a quella incantevole fontana; ma una volta una volta sola osai profanare colla mano il vergine cristallo.
Pier Paolo Pasolini:
Fontana di Venchieredo
Limpida fontana di Vinchiaredo,
acque modeste, teneressimi legni.
oggi a vent’anni, io vi vedo, ed ascolto,
col vecchio murmure indifferente.
Ai miei piedi, nel basso prato, l’acqua
rampolla, e lenta fugge; e interminabile
ricompone il suo canto più lontano.
A me quell’onda canta; ma precluso
dalla sua interna gioia e il fresco riso,
mi tormento a mirarla, ed ecco, immagino
celesti giovanette, antichi giuochi,
e risa e voci…Ma certo non è questo
che si cela, vicino, in spazi ignoti
e ricanta impassibile quell’acqua.
MULINI DI STALIS
Ippolito Nievo:
Le confessioni di un Italiano – cap. V
Lucilio sudava per la fatica durata a moderarsi; ma la briga maggiore era quella di trarre in salvo la donzella, e in tal pensiero diede giù per una stradicciuola laterale del villaggio, e girando poi verso la strada di Venchieredo, giunse a gran passi, trascinandosela dietro, sulle praterie dei mulini. Là si fermò per farle prender fiato.
Ella sedette stanca e lagrimosa sul margine d’una siepe, e il giovine si curvò sopra di lei a contemplare quelle pallide sembianze sulle quali la luna appena sorta pareva specchiarsi con amore. I negri fabbricati del castello sorgevano rimpetto a loro, e qualche lume traspariva dalle fessure dei balconi per nascondersi tosto come una stella in cielo tempestoso. L’oscuro fogliame dei pioppi stormeggiava lievemente; e il baccano del villaggio, ammorzato dalla distanza, non interrompeva per nulla i trilli amorosi e sonori degli usignoli. I bruchi lucenti scintillavano fra l’erbe; le stelle tremolavano in cielo; la luna giovinetta strisciava sulle forme incerte e tenebrose con raggio obliquo e velato. La modesta natura circondava di tenebre e di silenzi il suo talamo estivo, ma l’immenso suo palpito sollevava di tanto in tanto qualche ventata di un’aria odorosa di fecondità. Era una di quelle ore in cui l’uomo non pensa, ma sente; cioè riceve i pensieri begli e fatti dall’universo che lo assorbe. Entrarono dunque nel mulino, ma non ci trovarono alcuno benché il fuoco scoppiettasse tuttavia in mezzo alle ceneri. La polenta lasciata sul tagliere dava a vedere che tutti non aveano cenato e che alcuni degli uomini s’erano forse attardati nel villaggio a guardar la tregenda. La Clara arrossí tutta sotto gli sguardi del giovane. Era la prima volta che in una stanza e alla piena del fuoco riceveva nel cuore il loro muto linguaggio d’amore.